Il cantore degli dei del tappeto verde
Intervista con Maurizio Cavalli
Di Matteo Caiti

L'avvicinamento al biliardo quasi per puro caso, l'età dell'oro di Tele+, l'esperienza come telecronista di successo. Una chiacchierata con Maurizio Cavalli per scoprire la sua passione per il tappeto verde.

«Avevo il sogno di ogni ragazzino, diventare un campione di calcio. Fino all'età di 14 anni giocavo a pallone anche 8 ore al giorno. Ero bravo ma non abbastanza. Allora virai sul tennis. Stesso discorso: buone capacità ma per essere un fuoriclasse serve altro. Infranti i sogni di gloria, allora mi cimentai nel biliardo pensando che fosse più facile emergere. Errore grandissimo, più difficile di calcio e tennis messi assieme. Alla fine me ne feci una ragione e allora ho sublimato nelle telecronache sportive».

Scherza Maurizio Cavalli, la voce dello snooker di Eurosport per la gioia di tutti gli appassionati di biliardo che ne apprezzano competenza la competenza nel raccontarci la sua passione per il mondo del tappeto verde. Nell'ascoltarlo durante la mezz'ora di chiacchierata, passando da un argomento all'altro, è evidente la lucidità di idee e la dialettica sicura che lo accompagnano anche durante le telecronache.

Da dove nasce la passione per il biliardo?

Per caso. Avevo 19 anni. Le prime steccate nel bar di città, a Padova, negli Anni Sessanta. Il ricordo è la ferita narcisistica subita nel rendermi conto che dare un colpo di stecca fosse più difficile di quanto pensassi. Mi sentivo inadeguato sul tavolo. Ero stato un buon giocatore di calcio per lungo tempo, poi un discreto giocatore di tennis. Ritenere di possedere una buona intelligenza motoria e un timing altrettanto valido nell'uso degli attrezzi sportivi in genere, e poi vedere sgretolarsi questa certezza una volta presa la stecca in mano, fu un duro colpo da digerire. Non mi persi d'animo. Allora presi il toro per le corna, incominciando a fare mie le geometria di gioco, a studiare angoli, traiettorie, porzioni di palla. Volevo impossessarmi del mostro, il tavolo da gioco. Da lì iniziò tutto, fino a diventare un giocatore apprezzato anche dai più bravi che divennero amici, come Gomez e Cifalà. Il mio però fu un approccio sbagliato. Forse valido per i biliardi di allora, con le buche, ma non per i biliardi attuali, senza buche. 

Cioè?

La steccata nel biliardo è quasi tutto. Conta fino all'80% nella forza di un giocatore. Ma pochi l'allenano veramente. Una steccata pulita, fluida, senza sbavature non è facile da trovare anche nei top player. Si crede che solo attraverso la ripetitività costante dei tiri, lo studio delle numerazioni, si possa padroneggiare le traiettorie, ma non è così. Prima serve un lavoro certosino sul brandeggio, sulla postura, sulla colpitura. Si pensi a Gustavo Zito di qualche anno fa, una meccanica di esecuzione e un movimento a pendolo perfetti e di riflesso tiri sempre a bersaglio. E Zito lavorava in maniera assidua su questo aspetto. Il discorso è valido sopratutto per i biliardi attuali, dove la sbandata, conseguenza di una cattiva sbracciata, provoca danni irreparabili per l'esito del tiro. Sui biliardoni con le buche (biglie pesanti, stecche da 800 grammi) era pressoché inesistente. Allora nessuno se ne preoccupava. Purtroppo è un retaggio che è rimasto. Tutto ciò ha una valenza orizzontale, al di là che l'obiettivo sia abbattere birilli o centrare una buca. Vale per tutte le specialità. Non a caso nello snooker, primeggia chi ha la steccata migliore. 

Lo snooker...lei è il cantore delle gesta di Ronnie O'Sullivan, Mark Selby e Stephen Hendry e compagnia su Eurosport, come si è avvicinato al mondo delle telecronache?

Per puro caso. A metà degli anni ottanta fui organizzatore di alcuni eventi nazionali e internazionali per promuovere il biliardo. Ricordo con piacere l'esperienza in Argentina. D'accordo con Cifalà e Gomez organizzammo un circuito di esibizione a Buenos Aires con importanti ricadute in termini televisivi, circuito che ebbe un discreto successo. Fu la fase embrionale che diede il via al biliardo professionistico. L'architrave per un modello da proporre anche in Italia come poi accadde con il Mondiale Pro di Tele+. Nel nostro paese non esisteva alcun giornalista sportivo che si occupasse di biliardo. C'era una lacuna da colmare. E io godevo della stima dei migliori giocatori che alla partenza del circuito Pro mi candidarono come voce per le telecronache. Ma nel complesso fu l'alchimia ad essere vincente, che diede vita alla triade che ricordo con piacere. La voce calda di Alfio Liotta al commento, la figura di Marcello Lotti come campione riconosciuto e le competenze tecniche del sottoscritto. Tramontata l'esperienza del Mondiale Pro è stata poi la volta dello Snooker quando Eurosport ne acquisì i diritti di trasmissione. Mi contattò e da lì seguì il resto. 

Tutti gli appassionati ricordano l'esperienza sul digitale satellitare di Tele+ come uno dei momenti migliori per il biliardo professionistico. Come fu possibile?

Sono tre gli elementi che determinarono le condizioni favorevoli per il via: sponsor che credettero nel progetto, un manager di valore che seppe proporre il modello di business e un'emittente televisiva che puntò sul tavolo verde. Sembra banale parlare della convergenza di questi elementi per il successo dell'iniziativa ma trovarli tutti al momento giusto non fu facile. Prova ne è il fatto che dopo qualche anno il circuito segnò il passo. Da una parte gli sponsor incominciarono a mancare, dall'altra Tele+ acquisì i diritti del calcio, allargando i cordoni della borsa, quindi ci furono meno spazio e risorse economiche per gli sport minori. Al di là della vox populi, e delle leggende che si raccontano sulla fine di quel progetto. E' il mercato che va così, per tutti gli sport. Basti pensare che dopo 30 anni lo sponsor storico del prestigioso torneo tennistico del Queen's ha abdicato, lo stesso è accaduto con il Crucible dopo l'annuncio di alcuni marchi di abbandonarne la sponsorizzazione. Ma è un ciclo che nasce e muore: se ne troveranno degli altri di mecenati. 

Sono queste tre condizioni che favorirono la nascita dello snooker come fenomeno televisivo in Inghilterra?

Certo, nessun dubbio. E lo sponsor era un notissimo marchio del tabacco con un potere economico importante che ne agevolò l'affermazione. E poi ci fu un fatto storico che concorse nel favorire il processo. Si era a cavallo tra gli Anni Sessanta e gli Anni Settanta con l'introduzione della tv a colori. Industria e broadcaster avevano tutto l'interesse a trasmettere prodotti televisivi che strizzassero l'occhio all'utenza finale nel favorire il cambio degli apparecchi. Lo snooker si prestava benissimo con le sue valenze cromatiche che spaziavano dal rosso al blu, dal rosa al giallo fino ad arrivare al verde del tappeto. L'impatto televisivo era notevole. Ricordiamoci che stiamo parlando della televisione di allora dove la concorrenza dei prodotti televisivi non era feroce come ora. Va da sé che una partita trasmessa in bianco e nero non aveva lo stesso appeal.
 

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