A 47 anni ha
vinto il titolo più importante della carriera, il Gran Prix di Goriziana a
Saint Vincent. Non si sente un personaggio. «Forse per questo», racconta,
«non mi ha applaudito quasi nessuno». Fa niente, dice: «ci sono abituato».
Antonio De Riccardis, 47 anni, pugliese e bancario di professione dopo la
vittoria al Gran Prix di Goriziana ha avuto un'esultanza contenuta, senza
fronzoli. Ha fatto più rumore la rabbia dello sconfitto, Andrea Quarta, il
grande favorito della finale (campione in carica) che, con stizza, ha
infilato la stecca nel fodero per allontanarsi di fretta dal rettangolo di
gioco. Tutti gli occhi erano per lui, mentre Antonio, quasi
nell'indifferenza generale, rilasciava l'intervista di rito a Enrico
Cattaneo, telecronista Rai.
S'è accorto che l'hanno applaudita in pochi? Forse per quella chiusura un
po' fortunosa...
«Ho tirato un retro forte di taglio contro ed è andata bene. Ci vuole sempre
un pizzico di fortuna per conquistare questi traguardi».
E poi Quarta giocava in casa. Aveva il tifo contro.
« È normale, ci sta. Lui è piemontese d'adozione. Per il pubblico, ormai ci
ho fatto il callo. È sempre freddo con me, ma non mi crea problemi. Me ne
sono fatto una ragione».
Cioè? «Non sono un personaggio come altri. Penso a Maggio, Cifalà, allo
stesso Quarta. Hanno un carattere ruspante che attrae il pubblico, sanno
catalizzare l'attenzione. È una dote. Io no. Rimango al mio posto. Forse per
questo non trascino la gente».
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Lo sa che negli ultimi sei incontri non ha perso nemmeno un set?
«Non ci ho fatto caso. Alla faccia della fortuna, allora».
E la vittoria più importante della sua carriera?
«Certamente. Ho vinto due titoli italiani di Cinque Birilli, ma vincere a
Saint Vincent è davvero un'altra cosa. Magia pura. C'ero andato vicino nel
2006, ma ho perso da Montereali».
Allora, è proprio uno specialista dei Nove Birilli.
«Saper giocare bene di sponda aiuta.. Ma il vero vantaggio per me è un
altro. Il ritmo della partita non è così serrato come all'Italiana. Riesco a
difendermi anche se non mi alleno molto».
Non vorrà mica far credere che si vince il Gran Prix senza allenamento.
«La forma l'ho acquisita partita dopo partita. Il lavoro non mi permette di
allenarmi tantissimo. Molto spesso mi difendo con il talento. Penso di avere
una buona predisposizione naturale, anche perché ho iniziato a giocare molto
presto, a sette anni. I turni più difficili per me sono i primi, poi carburo
e divento pericoloso per tutti».
Il primo pensiero dopo la vittoria?
«Per mio padre e mio figlio. È stato papà a trasmettermi la passione per il
biliardo e lo ringrazierò sempre. Mio figlio Alessandro si sta appassionando
ora a questo sport. Ha vent'anni, gioca
a pallone, ma spesso me lo porto dietro
al Centro Sportivo dove gioco per insegnarli qualcosa. Vedremo se vorrà continuare».
È vero che se l'è un po' presa perché non la mandano mai in televisione?
«Verissimo. E il fatto eclatante è che l'anno scorso nelle prove B.T.P. ho
incontrato per tre volte consecutive al primo turno Michelangelo Aniello,
allora campione del mondo in carica, e l'ho sempre battuto (3-0, 3-1, 3-1 i
punteggi, ndr). Ma nessuna delle tre partite è stata mandata in televisione.
Mi è dispiaciuto. Giocavo contro il campione del mondo. Almeno una volta,
sarebbe potuto succedere e invece no».
Anche a Saint Vincent è successo?
«Sono dovuto andare in finale per essere sicuro di giocare sul biliardo
televisivo! Scherzo ovviamente».